Lotto n. 24 posate da gavetta, seconda guerra mondiale, regio esercito.

Un cucchiaio che ha attraversato la storia. Non è solo una posata. È un compagno di viaggio, un testimone silenzioso di giorni lunghi e notti insonni, di marce interminabili e attese sotto un cielo incerto. Questi cucchiai di alluminio, alcuni incisi con iniziali tremanti e segni personali, raccontano senza parole la storia di chi li ha stretti tra le mani, giorno dopo giorno, come un piccolo frammento di normalità in un mondo stravolto dalla guerra. Ce n’è uno dove si leggono benissimo nome e cognome: Salvatore Lupica. Ce lo immaginiamo, Salvatore. Forse di leva, giovanissimo, tremante. Incide con forza il suo nome ed riaffermare un’identità che la guerra si voleva portare via. Chissà se è tornato a casa poi, Salvatore. Cucchiai infilati in gavette accanto a un tozzo di pane, condiviso tra compagni in una trincea fangosa. Cucchiai riposti con cura, perché anche un oggetto semplice poteva diventare prezioso quando tutto il resto poteva svanire da un momento all’altro. Oggi queste posate sono qui davanti a noi, testimoni di una vita passata e di un tempo che non dobbiamo dimenticare. Non possiamo sapere dove siano stati questi cucchiai, chi li abbia tenuti stretti, con quali speranze o timori. Ma possiamo immaginare. Possiamo sentire il peso della storia tra le mani. 19 sono marchiate, di cui 3 poco visibile. Le altre 5 o non sono marchiate Regio Esercito o il marchio (più probabile) è andato perduto a causa dell’usura.